Il crollo del Comunismo in Romania

Cadevano come birilli i sistemi para-sovietici nell’Europa centrorientale: e a resistere era uno solo. Il Comunismo in Romania non voleva crollare. Se tutti i figliastri dell’URSS si frammentavano nel sorriso dei popoli che dopo quarant’anni ritrovavano la libertà, in Romania la rappresaglia del regime nei confronti delle proteste fu feroce. Il 24 novembre 1989, due settimane dal crollo del Muro di Berlino, Nicolae Ceaușescu pronunciò un discorso di sei ore davanti al quattordicesimo congresso nazionale Partito Comunista Rumeno. Tutti i gerarchi applaudirono il Conducător per l’ultima volta. Proteste ovunque sul finire del novembre del 1989. L’apice venne toccato quando Ceaușescu diede l’ordine di sparare sulla folla a Timișoara. Nella cittadina della Romania occidentale il 16 dicembre del 1989 alcuni cittadini si erano radunati per manifestare a favore del pastore ungherese László Tőkés, critico nei confronti del regime.

Fu una carneficina. I soldati uccisero a freddo settantatré persone; uomini e donne. La notizia circolò velocemente nel paese. Cinque giorni dopo, il 21 dicembre, alle undici del mattino, scoppiò la rivoluzione rumena. Ceaușescu comparve in piazza a Bucarest nel suo ultimo discorso ufficiale. Il colbacco scuro, il cappotto nero con il collo d’astrakan, la voce rauca, il viso segnato dai suoi settant’anni, di cui troppi al potere come divinità assoluta. Celebrava, senza saperlo, la fine del Comunismo in Romania. Non erano passati neppure trenta secondi dall’inizio del discorso dal balcone del Palazzo del Comitato Centrale, quando un’ondata di proteste investì il leader. Per la prima volta dopo decenni di tirannia, Ceaușescu si rese conto di essere impotente. Occhi preoccupati e mano destra alzata per placare il trambusto sottostante. Vedeva, dall’alto di un castello sotto assedio, lo sgretolamento del suo regime che durava dal 1968.

Decise di rientrare nel Palazzo. Le televisioni erano puntate sull’incerto vecchietto che negli anni floridi del regime era guardato in tutto il mondo come un megalomane patologico e ambizioso. Iniziò così la rivoluzione. Auto in tutte le direzioni, spari ovunque, carri armati in strada, urla. Alle dodici, l’“Eroe degli eroi” – o il “Genio dei Carpazi”, come amava definirsi – tagliava la corda in elicottero. Il 22 dicembre, venne proclamata la legge marziale. Securitate in tilt dopo decenni di terrore e caos in tutto il paese facevano sembrare lontani i lunghi soggiorni in campagna allietati da prelibatezze e musica. Ben altra musica nel duro e puro Comunismo in Romania: un paese dove la gente comune trascorreva le ore in fila nel freddo per poche calorie razionate.

Isterica, in quei giorni, anche la moglie Elena Petrescu, la signora che con la terza elementare si auto-conferiva titoli da simil-Nobel e si considerava la madre della patria. I due coniugi non riuscirono a capacitarsi che il conto con la Storia era arrivato. Di nuovo, le foto del Presidente con Gerald Ford e Jimmy Carter, con Jacques Chirac, Helmut Kohl, Indira Gandhi e colleghi Mao Zedong, Kim Il Sung, Fidel Castro e Erich Honecker erano solo un ricordo sbiadito in quel dicembre 1989. Dopo trent’anni di terrore, miseria e morte che caratterizzarono il feroce Comunismo in Romania, ci fu una svolta a seguito del naufragio degli altri regimi comunisti del Patto di Varsavia. Con violenza, il popolo rumeno alzò la testa. La fine del regime di Bucarest fu l’unico cruento nel blocco orientale.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su neXtQuotidiano)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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