Un secolo dalla sciagura del trattato di Versailles

Il trattato di Versailles del 28 giugno 2019 è stato un elemento che ha contribuito in maniera decisiva al secondo conflitto mondiale. Sancì un armistizio, non la pace, tra la Germania e gli altri stati europei dopo la vittoria degli Alleati nella Grande Guerra. Al termine della quale, l’Europa aveva visto sulla sua pelle quanto potesse essere distruttiva una guerra moderna. Se nei secoli precedenti Versailles è stata il simbolo dell’assolutismo dell’Ancien Régime, nel 1919 la Francia del Nord era diventata il simbolo della lacerante guerra di trincea contro l’Impero Germanico, governato da Guglielmo II. Questi, un Kaiser poco amato dal suo popolo. Negli ultimi mesi della guerra la Germania era rimasta completamente isolata. Il morale delle truppe tedesche era al lumicino, la popolazione civile era sfinita, le industrie belliche senza risorse.

Il fallimento della grande offensiva di Erich Ludendorff nella primavera del 1918 avrebbe dovuto far capire a Berlino che la sconfitta era prossima, ma nulla da fare. I termini del trattato firmato alla reggia francese furono umilianti per l’Impero Tedesco, che riconsegnò le terre europee invase e cedette le sue scarse conquiste territoriali d’oltre mare. Massicce le perdite attorno alla casa madre tedesca. Prima di tutto, la spaccatura della Prussia per consentire alla neonata Polonia lo sbocco sul mare tramite il corridoio di Danzica. Una coda di Prussia rimase quindi isolata dal resto della Germania, che perse pure parte della Posnania e della Slesia in favore della Seconda Repubblica polacca. Una piccola porzione dello Schleswig settentrionale venne data alla Danimarca. Alsazia e Lorena vennero restituite alla Francia, che attendeva da anni il ritorno dei territori perduti a seguito della sconfitta del 1871.

Una ridimensione territoriale complessiva del tredici per cento. Per assicurarsi l’innocuità dell’ex nemico comune, i vincitori di Versailles imposero alla Germania una grossa limitazione in termini di forze belliche. Divieto assoluto degli U-boot, squali d’acciaio che avevano provocato non pochi danni alla flotta britannica prima e a quella americana poi. Dall’attacco al Lusitania alle provocazioni nel porto di New York, uno dei pretesti per l’entrata in guerra degli Stati Uniti di Woodrow Wilson nel 1917: fermare i sottomarini tedeschi. Alle restrizioni militari vennero poi aggiunte le spese di guerra, quantificate in miliardi di marchi d’oro, cosa che poi contribuì a scatenare una pesante iperinflazione in Germania. Ma la condizione più dura del trattato dui Versailles fu l’addebito dell’intera responsabilità del conflitto ai tedeschi. Una guerra che era partita a Sarajevo nel 1914 si concludeva con la punizione esemplare dell’intero popolo germanico. Un errore fatale, da parte delle potenze vincitrici.

Una sciagura per l’Europa degli anni a venire. Il trattato di Versailles non fu un trattato, ma un diktat. E la Francia guidata da Georges Clemenceau credeva che le misure imposte alla Germania fossero addirittura troppo leggere. Il ruolo dell’Italia e della Gran Bretagna – rappresentati da Vittorio Emanuele Orlando, rispettivamente da David Lloyd George – fu marginale nella definizione dei trattati. L’ultimo articolo del trattato di Versailles, il numero 440, stabiliva che la Germania accettasse e riconoscesse come valide e vincolanti tutti i punti che la riguardavano. Per un paese che neppure fu invitato alla conferenza che decretava il suo taglio della testa fu umiliante. Nella Storia recente raramente si è visto un trattato che ha punito così tanto un popolo. Mai punire troppo lo sconfitto: da parte dei vincitori è doverosa anche la responsabilità di evitare che accadano drammi in futuro.

Amedeo Gasparini

(Pubblicato su L’Osservatore)

Pubblicato da Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, class 1997, freelance journalist, managing “Blackstar”, amedeogasparini.com. MA in “International Relations” (Univerzita Karlova, Prague – Czech Republic); BSc in “Science of Communication” (Università della Svizzera Italiana, Lugano – Switzerland)

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